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Teatro dell'Elfo 1985

Teatro dell'Elfo

Teatro d'arte contemporanea

Con Elio De Capitani era un po' di tempo che non ci si vedeva. Non potevo esimermi dal ricordagli la scena da vero attore che mi fece la prima volta che ci incontrammo: si gettò ai miei piedi ed in ginocchio a mani giunte disse: “Per favore facci il finanziamento ... per favore ... siamo nelle tue mani...”.

Elio: Non ricordo questa implorazione, ma mi ci vedo, sono sempre stato un po’ buffonesco e vedere un banchiere sorridente mi avrà messo a mio agio! Di solito sono ombrosi, formali, mostrano importanza e superiorità: ti hanno fatto un prestito perciò è come se dicessero: “Vedi come sono bravo!”

Giovanni: ti ricordi per cosa era servito il finanziamento di Mag2?

Elio: Ci è servito per coprire costi di attrezzature e altri beni strumentali. Anche se in realtà eravamo in una transizione artistica importante: Salvatores passava al cinema e l’Elfo sceglieva me come suo regista, optando per la coraggiosa nuova strada della drammaturgia contemporanea, che avrebbe cambiato il teatro italiano, influenzando anche la generazione dei registi del teatro di ricerca: Martone, Tiezzi, Lombardi e tanti altri, che allora erano sul terreno della scrittura scenica tipica del teatro d’avanguardia e poi sono passati al teatro di testo e di attore. Era difficile allora, come del resto ancora oggi, ottenere prestiti per l’allestimento di spettacoli, idee impalpabili, fatte della materia di cui sono fatti i sogni – meglio chiederli per i fari, la fonica, il camion, materiale visibile e concreto. Non c'era e non c'è ancora la cultura dell’arte come investimento. Facciamo di tutto però affinché qualcosa cambi e si capisca che le idee sono il vero “mezzo di produzione del teatro”. Abbiamo appena inaugurato questa nostra bellissima sede in corso Buenos Aires: l’ Elfo Puccini. Dopo tutti questi investimenti che sfiorano i 18 milioni di euro, siamo qui dentro questa meraviglia senza una lira per produrre, tra continui tagli ai contributi e aumenti esponenziali di costi. Il grande Elfo di adesso è di nuovo nella situazione del giovane Elfo che ha chiesto allora il piccolo prestito a Mag2: il bisogno di non fermarsi e contare sulla propria arte per produrre valori e valore, per produrre da sé il proprio futuro e un pezzetto del futuro di questa città, che ne ha così bisogno.

Giovanni: perchè ritieni che sia così difficile ottenere anticipi sulle idee?

Elio: Non solo anticipi, ma anche investimenti, sponsor e partnership vera, per esempio dal mondo delle imprese cooperative, a cui apparteniamo: non puntano ancora abbastanza su di noi come forza qualificante del territorio. E' il prezzo del nostro ritardo culturale che ha radici antichissime. Devo rispondere alla tua domanda e devo già fare un discorso ampio che noi artisti di teatro conosciamo bene, ma su cui le persone spesso riflettono poco. Parlo della natura stessa dell’arte teatrale come bene immateriale che ha bisogno di essere ri-prodotto ogni giorno, con gli stessi costi del primo giorno di recita. Un’opera d’arte come un quadro, una statua, è un bene commerciabile: una volta fatto, acquista valore crescente, si vende e si compra, lo si può possedere: persino in cassaforte, se è un opera d’arte figurativa d’alto valore e a comprarla è uno speculatore e non un amante dell’arte. Il teatro ha un valore d’uso e significato simbolico altissimo, ma un valore di scambio minimo: perché l’unica forma di possesso di un’opera d’arte teatrale è la memoria di chi lo vede; il teatro è come una esperienza di vita, di cui puoi conservare fotografie, souvenir e ricordi nella mente, ma non puoi possedere nulla, non puoi rivendere nulla. Qui sta il bello e qui sta il dramma del teatro oggi: è una delle poche speranze per l’umanità di non perdere il legame con la forma speciale della propria esistenza in quanto uomini, esseri senzienti autoconsapevoli che costruiscono civiltà di pensiero, non solo di dobloni. “Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” come dice l’Ulisse dantesco. L’impalpabilità del teatro, il suo non poter essere “di massa”, lo rende al tempo stesso anacronistico, dal punto di vista degli attuali valori dominanti, e attualissimo, nel senso del riappropriarsi, prima che sia troppo tardi, della capacità di capire cosa ci rende degni di definirci esseri umani. Molta gente neppure sa che tesoro si nasconde dentro l’arte teatrale: arrivare a scoprirlo è uno dei possibili compiti di ogni esistenza. Chi non va a teatro rinuncia a scoprire una delle scaturigini della nostra stessa esistenza: del resto democrazia e teatro sono nati nello stesso posto e negli stessi anni, nella Atene del V secolo. Ci avevi mai pensato?

Giovanni: e della finanza etica che impressione ne hai?

Elio: Non ho molto seguito l'evoluzione in questi anni, preso com'ero dal mio lavoro. Ho comunque l'impressione che la finanza sia un sistema che nessuno più ha la forza di sorvegliare ed ha raggiunto livelli di potere inimmaginabili. I greci chiamavano hýbris (tracotanza, superbia, orgoglio smisurato, prevaricazione) sia un atteggiamento individuale che la irradiazione malata di un evento, un atto del passato che ammorba e contamina il tempo presente. Ecco: le devastazioni della speculazione finanziaria e quello che fanno alla vita di milioni di uomini sono come Cernobyl, un avvelenamento che fa danni pesanti a distanza, che uccide il futuro. Ma la hýbris genera, come diretta conseguenza, la "némesis", che significa vendetta degli dèi, sdegno, e che quindi si riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dèi a chi si macchia di tracotanza. Ma tutta questa tracotanza, la scia nefasta dei guai della grande finanza e delle sue speculazioni sulla pelle del mondo, genererà mai una nemesi? Faremo la fine della prima metà del secolo scorso? La finanza etica, e l’etica in generale in tutti i campi, non deve servire solo a lavarsi la coscienza, ma a impedire che arrivi la deflagrazione. Non solo noi siamo così deboli e i tracotanti sempre più forti, ma il guaio è, come sempre, l’immensa zona grigia dell’indifferenza che non si fa scuotere da nulla, se non dai peggiori proclami populisti che toccano i nervi scoperti di chi ha paura di perdere il - pur piccolo - suo posto al sole. Mi viene in mente il film L’uovo del serpente di Bergman, ambientato nei primi anni del nazismo. La finanza etica è uno dei tasselli della resistenza anticipata alla nascita del serpente, come lo è il teatro. La finanza non crede nel futuro, ma ci specula.

 

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